E’ stata una finale all’altezza del Mondiale, divertente e feroce. Ha vinto la Francia come nel 1998, quando batté la Croazia in semifinale. Il calcio è questo: confronto di scuole, di stili, di talenti. E di episodi.
Sangue blu. E generali fortunati, tipo Deschamps. Alla Croazia è mancato un Suker; alla Francia, per un’ora, il coraggio. Eppure era lei che conduceva. Dal calcio totale degli anni Settanta ai calci piazzati del Duemila. Autogol di Mandzukic su punizione di Griezmann. Braccio di Perisic e rigore di Griezmann (via Var, protagonista complicato ma vittorioso). In mezzo, il gioiello di Perisic.
Modric, un Modric normale, ordinava e calibrava il pressing. Da una parte, un centrocampo creativo o comunque paesaggistico; dall’altra, gli spigoli di Pogba, Kanté (non il miglior Kanté) e Matuidi. Togliere spazio a Mbappé significa togliere le bombole di ossigeno a un sommozzatore.
I cultori del possesso-palla si coccolavano il diritto morale alla vittoria, i patiti della cucina «à l’italienne» sguainavano il risultato come se fosse una baionetta. Dopo un’ora, l’ansia da rimonta e il peso dei supplementari pregressi hanno chiesto il conto alla squadra di Dalic, il cui torello non produceva ormai che mischie. Mi tengo, di Mosca, il lancio di Pogba a Mbappé. La palla è poi tornata a «casa» ma il bisturi mancino di Paul, fortunoso nell’anestesia del rimpallo, è niente rispetto alla bellezza di quella traiettoria così tagliata, così pettinata. E dire che, fin lì, Pogba era stato più trincea che baionetta.
Il gol di Mbappé e l’omaggio di Lloris al pressing solitario ma cocciuto di Mandzukic hanno suggellato un 4-2 che onora i vincitori e non umilia i vinti. E ribadisce come il calcio rimanga, per fortuna o per sfortuna, un ibrido tra scienza e riffa che lascia tutti Allegri o non allegri.